Relazione, osservazione, ricerca, empatia.
La street photography nasce dalla relazione con l’altro a cui si aggiunge lo spazio nella sua dimensione pubblica e collettiva.
Casuale, accidentale o ricercato che sia, l’incontro con l’altro presuppone una consapevolezza che può raggiungere diversi gradi di intenzionalità.
Nella scala delle misure, il grado zero della fotografia di strada potrebbe essere occupato da Graciela Magnoni, per cui la street photography è stata una scelta del destino, una vocazione indotta. Figlia di madre uruguaiana e di padre francese, ha cominciato a girare il mondo all’età di due mesi e da allora, non si è mai fermata. Dopo un’infanzia e un’adolescenza trascorsa tra Bogotà, San Paolo, Manaus, Panamà, Montevideo, Barcellona e Parigi, è tornata in Brasile per studiare giornalismo e lavorare in alcune delle più importanti testate giornalistiche del paese.
La sua biografia si sposa con la scelta di vita che l’ha portata a girare il mondo per poterlo fotografare nella sua forma più autentica, così com’è, senza filtri o sceneggiature. Graciela, infatti, è una purista della street photography, di un particolare genere fotografico afferente al più ampio universo del reportage, che nel suo lavoro artistico prende il nome di “candid photography”, ossia realizzazione di fotografie spontanee e non gestite.

Pur essendo basata sull’idea di registro della realtà, street photography non è sinonimo di improvvisazione o impreparazione. Come ogni racconto per immagini, anche questo specifico genere fotografico ha una sua prassi, un concept che rimanda ad un intento progettuale ben definito, il cui fine è quello di guidare il fotografo nella ricerca di soggetti, luoghi e contesti che creeranno il suo personale script narrativo, seppure occultato dal camouflage del reportage di strada.
Come un talent scout della vita, lo street photographer si muove come un cacciatore invisibile, capace di entrare in sintonia con l’ambiente, facendo sempre attenzione a non modificare o ostacolare in alcun modo il fluire delle cose che si materializzano dinanzi ai suoi occhi.
Se c’è una cosa che lo street photographer può e deve fare è camminare, spostarsi, osservare e fondersi con l’architettura della città per essere pronto a fotografare l’inatteso quando si presenterà dinanzi ai suoi occhi.
“In un luogo ci arrivo solo camminando. Perché un fotografo di strada questo fa, cammina, osserva e parla.”, afferma Alex Webb. Considerato uno dei fotografi più influenti degli ultimi decenni, Webb è un esploratore della strada, un segugio in movimento - come lui stesso ama definirsi - che“fiuta” la situazione da fotografare, alla costante ricerca dello scatto inaspettato ma perfetto, in cui il ritmo della strada si combina alla sua capacità di immergersi nelle situazioni più insolite.

Fotoreporter in origine, il passaggio alla fotografia di strada nella sua carriera coincide con la scoperta del colore e la profondità di campo; due elementi che lo collegano ad un altro celebre street photographer, Joel Meyerowitz, tra i primi a fare del colore un elemento essenziale del suo linguaggio artistico negli anni sessanta e settanta.
Alla Leica Galerie di Milano, fino al 2 aprile, è possibile ripercorrere i periodi più decisivi della carriera di Meyerowitz, considerato il capostipite della street photography più moderna e fonte d’ispirazione per molti artisti contemporanei. L’esposizione «Joel Meyerowitz. Leica Hall of Fame 2016», curata da Karin Rehn Kaufmann, art director Leica Galleries International, con l’adattamento di Denis Curti e Maurizio Beucci, è una preziosa occasione per conoscere il lavoro di un artista che ha sovvertito i canoni stilistici della street photography, facendo del colore il centro della sua pratica artistica e il baluardo di una rivoluzione estetica che è andata di pari passo con la narrazione dei cambiamenti sociali di un’epoca.

