Questioni di Identità
Role play.
Fino al 27 giugno nella sede di Osservatorio di Fondazione Prada di Milano

Singolare, plurale, reale, immaginaria.
L’identità è al centro di Role play, la mostra allestita all’Osservatorio di Fondazione Prada, aperta al pubblico fino al 27 giugno.
Il progetto, curato da Melissa Harris, presenta il lavoro di 11 artist* internazionali* che, attraverso linguaggi diversi, esplorano processi di ricerca, proiezione e creazione di possibili identità alternative, in bilico tra sé autentici, idealizzati e universali.
Con opere di Meriem Bennani, Juno Calypso, Cao Fei, Mary Reid and Patrick Kelley, Beatrice Marchi, Darius Mikšys, Narcissister, Haruka Sakaguchi & Griselda San Martin, Tomoko Sawada, Bogosi Sekhukhuni e Amalia Ulman, la mostra presenta, in chiave storica, una serie di lavori pionieristici nel campo della ricerca artistica sull’identità.
Le Fotografia, i video, le installazioni, le performance in mostrano mettono in luce ciò che il sociologo Zygmunt Bauman ha sintetizzato in un’unica espressione: “identità liquida”, incapace cioè di mantenere una forma, ma pronta a mutare la propria consistenza a seconda del contesto in cui si trova. Nell’epoca della modernità liquida, l’identità è fuggevole e in continua negoziazione.

Lo mostra chiaramente il lavoro di Amalia Ulman che descrive Excellences and Perfections (2014) come “una performance online della durata di 5 mesi, composta da immagini, video, didascalie e commenti.” Il lavoro, presentato nel 2016 alla Tate Modern, elegge Instagram a palcoscenico in cui l’artista esiste in quanto personaggio interprete di un ruolo. Come spiega Amalia,
“il lavoro online ha indagato l’estetizzazione della vita quotidiana nei social media, anche grazie a una sceneggiatura che ha incluso l’utilizzo di set, oggetti di scena e strategie di comunicazione. Il progetto è stato presentato come una performance artistica solo in un secondo momento, confondendo ulteriormente i confini tra l’autentico e l’artificiale, la realtà e la sua rappresentazione stereotipata.”

Nella serie fotografica OMIAI♡ (2001), Tomoko Sawada mostra come la fotografia - ed in particolare il ritratto - sia uno dei mezzi più adatti per indagare l’identità umana, facendo una lettura critica dei ruoli di genere e gli stereotipi della cultura giapponese. Il titolo della serie fa riferimento al tradizionale libro fotografico di una giovane donna usato dai familiari per un matrimonio combinato. Tomoko, ritratta sul set di uno studio fotografico professionista, interpreta diverse tipologie di donna, creando un catalogo di possibili identità.
Juno Calypso, artista londinese conosciuta anche per aver vinto il Photography Awards 2016, indaga anch’essa con ironia i pregiudizi legati alla donna contemporanea americana in What to do with a Million Years? (2018). La serie fotografica - realizzata in una casa bunker fatta costruire alla fine degli anni ’60 da un ricco imprenditore di cosmetici terrorizzato da una potenziale esplosione nucleare a seguito della guerra fredda - ci trasporta letteralmente nell’immaginario dell’artista, un mondo pink in cui vivere l’ordinario in modo extra-ordinario, attraversati da un’ossessione che è il titolo stesso dell’opera: cosa faremmo se vivessimo in eterno? Particolare inquietante scoperto da Juno solo alla fine del lavoro: la casa in cui è stata realizzata la serie è attualmente di proprietà di un misterioso gruppo farmaceutico alla ricerca dell’immortalità e dell’eterna giovinezza.


Varcata la soglia in cui possibile e impossibile si incontrano, usciamo dalla mostra irradiati dalla luce blu che pervade tutta l’installazione dislocata sui due piani dell’Osservatorio, concepita dall’agenzia creativa Random Studio. Come a segnare il passaggio ad un altro livello di realtà, l’installazione luminosa ci invita ad assumere un’altra prospettiva di sguardo su ciò che ci circonda; “(…) dall’inizio del XX secolo, i progetti che prevedono il gioco di ruolo hanno approfondito il concetto di identità, permettendo agli artisti di sfidare le norme di comportamento legate al genere, a viaggiare nel tempo e a immaginare il loro sé in una miriade di modi diversi, riflettendo sulla loro stessa essenza, anche quando questa è in evoluzione (…)” come scrive la curatrice della mostra.

Metamorfosi, trasformazione, alter-ego sono, nelle mani degli artisti e artiste in mostra, strumenti che possono permetterci di capire il contemporaneo, il modo in cui ci rapportiamo a noi stessi, agli altri e la nostra relazione con la tecnologia.