
Osservando le foto di Stefano Mirabella, ci si rende conto che le strade, i crocevia, le intersezioni sono passaggi segreti, botole sull’immaginazione che contengono in sé una lezione, tanto cara a Luigi Ghirri: la capacità di filtrare il mondo a partire dalla città - osservatorio antropologico d’eccezione – nasce da una “pulizia dello sguardo” e dalla “lentezza del guardare”, due momenti essenziali per la costruzione di una narrativa per immagini.
Stefano Mirabella, con le sue fotografie, rinnova il nostro modo di guardare il mondo, mostrando ad un’intera generazione di fotografi - sempre più interessati alla street photography – i canoni stilistici di un genere dalle infinite possibilità.Ispirati dalle trame visive imbastite dalle sue fotografie, abbiamo deciso di dedicare all’interazione uomo-città Play-scapes, la terza open call di Untolds. A lui siamo, poi, ritornati, per farci raccontare la genesi di uno stile, tra rappresentazione della realtà e capacità di trascenderla.
Stefano, la street photography è una lente di ingrandimento delle relazioni che stabiliamo con l’ambiente che ci circonda, nello specifico, quello urbano. Prima di realizzare un lavoro fotografico in una città che non conosci, come entri in contatto con essa?
La fotografia di strada è sempre questione di intesa, empatia e feeling con il luogo che si sta fotografando. Il non conoscere un posto può essere per certi versi un fattore positivo, il nostro occhio e il nostro cervello saranno sollecitati più del solito, ma questo non basta. Serve una vera “immersione” sensoriale, senza la quale sarà difficile interagire e portare a casa buone immagini. Quindi consiglio sempre una passeggiata introduttiva, nella quale far lavorare i sensi e non necessariamente pensare il luogo solo dal punto di vista fotografico.


Come ogni altro tipo di fotografia, anche la street photography risponde a canoni estetici e determina una specifica comunicazione visuale. Come sostieni, in alcune interviste, quello che può fare la differenza, è il punto di vista di chi sta dietro la macchina. Quali suggerimenti daresti per imparare a coltivarlo?
Per fare delle buone fotografie bisogna coltivare una sensibilità che ci permetta di cogliere delle sfumature, di notare situazioni che agli altri sfuggono. Per realizzare fotografie interessanti dobbiamo necessariamente mettere il nostro personale punto di vista su ciò che osserviamo e per farlo ci vuole un po’ di tempo, dobbiamo prima capire chi siamo, cosa ci attrae, perché passiamo il nostro tempo a fotografare. Dobbiamo interrogarci su svariate cose, ovviamente tutto questo può e deve avvenire attraverso l’atto fotografico. Il tempo e la riflessione saranno gli alleati di chi vorrà raccontare il quotidiano attraverso la sua personalissima visione. Lo ripeto, senza fretta, spesso è solo questione di tempo e dobbiamo prendercelo tutto, senza ansia, senza la voglia di arrivare prima di capire. Ovviamente, in questa fase “preliminare” del nostro percorso, è necessario farsi ispirare e provare a capire meglio, anche attraverso le immagini e il lavoro degli altri. La mia base sono stati tutti i grandi fotografi Magnum, di cui conservo ancora dei volumi che uscirono in edicola tanti anni fa e che collezionai tutti. Una solida e validissima base da cui partire. Inevitabilmente quello che fotograferemo e come lo faremo sarà sempre una proiezione di chi siamo ma anche di cosa nella nostra vita abbiamo visto, ammirato, apprezzato e interiorizzato.

La strada è lo spazio privilegiato della tua ricerca artistica. Come concili il dinamismo della strada con le regole della tecnica?
Per compensare l’anarchia e il dinamismo, che come dici tu caratterizzano la quotidianità e la strada, io cerco dei riferimenti. Degli “ancoraggi” visivi, da cui far partire l’indagine fotografica. Sono molto attento a tutto quello che visivamente la città vuole offrirmi. Nei corsi e nei workshop che tengo, insisto spesso su questi aspetti, la ricerca di quei punti fermi che possano aiutare l’indagine. Potranno essere quindi utili, un taglio di luce particolare, una forte interazione tra più elementi, un input visivo forte, come un volto in una particolare pubblicità su una borsa o una maglietta. Intorno a questi punti fermi iniziali si deve poi dar seguito ad altro ovviamente, completare e arricchire l’immagine.

Nelle tue fotografie, spesso, l’interazione con l’arredo urbano è presente in chiave ironica. La città diventa una sorta di playground del fotografo di strada. Come sceglie i luoghi o le inquadrature che diventavano il volto di una città?
Ho sicuramente dei luoghi che preferisco, le stazioni ad esempio, dove c’è un fermento e un movimento fuori dal comune, sono inoltre spesso ricche di input visivi interessanti, geometrie e luci non scontate. Amo recarmi spesso nel cuore della città, in centro, dove ci sono dei luoghi a cui sono particolarmente affezionato e dove in qualche modo so già cosa aspettarmi o quando aspettare. I grandi maestri ci insegnano che “l’abitudine distrugge l’occhio” ma negli anni, anche grazie ad una grande curiosità, ho cercato di sfruttare al meglio le caratteristiche di quei luoghi che conosco alla perfezione, e spesso, non sempre ovviamente, questo funziona.
