“Non siamo mai stati oggetti” di Federico Landi

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Dai box luminosi del Museo Civico Medievale di Bologna, su un fundo bianco meta-fotografico, cinque manufatti “taciturni viaggiatori pluricentenari” ci sussurrano: “Non siamo mai stati oggetti”.

Titolo del progetto fotografico e archivistico di Federico Landi - fotografo, videomaker e ingegnere – “Non siamo mai stati oggetti” è una ricerca visiva nata a seguito della digitalizzazione di 127 reperti che compongono la collezione Palagi del Museo Civico Medievale di Bologna, articolata in tre azioni (documentazione, digitalizzazione, allestimento) che indicano il viaggio compiuto dai manufatti dal momento del loro incontro con Federico, sino alla loro esposizione in mostra, all’interno di un allestimento appositamente ideato.

“Non siamo mai stati oggetti” by Federico Landi, 2023 - Photos by Valentina Cafarotti

Archivio e fotografia convivono nel progetto espositivo di Federico attraverso un gioco di mise en scène che, mentre rivela il set di uno still life che si nasconde dietro la digitalizzazione di “oggetti”, mostra anche il processo di raccolta di dati e di documentazione della ricerca in archivio, attraverso una serie di fotografie istantanee che ritraggono i vari luoghi che gli oggetti della collezione abitano. Ne nasce un’indagine sul rapporto fra oggetto, contesto ed identità, proponendosi come un gioco di associazioni visive tra le diverse modalità di esistenza di questi manufatti.

“Non siamo mai stati oggetti” by Federico Landi, 2023 - Photos by Valentina Cafarotti

Sul crossing over della mostra, abbiamo incrociato la lettura del saggio Making di Tim Ingold  con “Non siamo mai stati oggetti” e, insieme al suo autore, aprendo la discussione ad ulteriori riflessioni.

Nel suo saggio, Ingold parla della creazione (del fare) come fonte di conoscenza. Un creare che costruisce ambienti e trasforma vite. Se l’atto di creazione è, dunque,  un processo in cui artefici e materiali sono in corrispondenza reciproca nella generazione della forma, nel tuo lavoro quanti sono gli artefici?

FL: Sicuramente, per questo non è possibile quantificarli, sono infiniti. E credo che sia vero anche il contrario: questi manufatti hanno tessuto così tante relazioni, accompagnando uomini e donne ricostruendoli individualmente e collettivamente, da poter smettere di far riferimento a chi li ha creati e maneggiati. Hanno un valore autonomo. L’atto di creazione di questi oggetti viene ri-compiuto ogni giorno. Oggi, per esempio, la relazione che abbiamo con questi manufatti è tutt’altro che stabile e definita. Mi riferisco al fatto che il possesso di questi beni di provenienza extra-europea da parte di istituzioni pubbliche è problematico. Esiste un dibattito pubblico e trans-nazionale di ricercatori che sta cercando di capire che cosa farne: restituirli alle istituzioni dei luoghi di origine di questi manufatti? Valorizzarli attraverso percorsi curatoriali che mettano in relazione la storia di questi oggetti con le vicende coloniali? È da questo spunto di riflessione che nasce la ricerca visiva, ossia far percepire questi manufatti come delle entità che sono manipolate e manipolano la realtà a loro attorno, costantemente.

“Non siamo mai stati oggetti” by Federico Landi, 2023

L'interdisciplinarietà del tuo progetto si specchia nel saggio di Ingold quando l'autore definisce l’antropologia, l’archeologia, l’arte e l’architettura modalità di creazione in relazione tra loro. Quali testi, quali autori hanno ispirato la tua ricerca?

FL: Le fonti di ispirazioni sono ovviamente tante. L’interdisciplinarietà è anche parte del mio percorso. Ho studiato architettura in una scuola di Ingegneria, e oggi lavoro fondendo l’installazione, la fotografia e il video. Per citarne uno su tutti per questo progetto, la ricerca “Parigi città invisibile” di Bruno Latour. E cito anche Sottsass. Sento come se fosse necessario recuperare nella pratica artistica la capacità del design radicale italiano degli anni ’60 di unire politica, gioco, spiritualità, corporeità.

“Non siamo mai stati oggetti” by Federico Landi, 2023 - Photos by Valentina Cafarotti

La fotografia, insieme all’archivio e l’altro polo del binomio del tuo progetto visivo. Come sei arrivato all’uso dello still life e alla bicromia?

FL: Oggi credo che il processo di generazione di un’immagine sia fondamentale, importante almeno quanto i suoi aspetti formali. La particolarità delle immagini bicromatiche risiede nel fatto che queste sono un ibrido fra una commissione tecnica ed un gesto espressivo. Le fotografie di still life erano state progettate per ridurre al minimo la presenza di ombre, i riflessi e mantenere il massimo grado di definizione e di fedeltà. La ripetizione che crea serialità non è stata una scelta ma piuttosto un contesto che mi sono trovato di fronte. Soltanto se ritratti sotto le stesse condizioni allora gli oggetti saranno comparabili e sarà possibile studiarli. Con le bicromie ho voluto rompere questa serialità, rendere impossibile non soltanto la comparazione, ma la stessa visione “oggettiva” dei manufatti, con una postproduzione digitale vistosa ed esagerata.

“Non siamo mai stati oggetti” by Federico Landi, 2023
“Non siamo mai stati oggetti” by Federico Landi, 2023

Accanto alle bicromie in mostra vi sono anche una serie di fotografie che ritraggono i vari luoghi dove ho incontrato gli oggetti, vetrine, seminterrati, schedari, server, raccolti in una serie di fotografie istantanee. E’ stato molto interessante mettere a confronto questi due tipi di fotografie: da una parte immagini di grandi dimensioni, incorniciate, in cui la postproduzione è talmente accentuata da generare un’illusione, stampate in fine art per mantenere i dettagli ed i colori nel tempo. Dall’altra fotografie che vengono impressionate e si concretizzano nell’istante in cui vengono scattate, impossibili da post-produrre, su un supporto piccolo ed estremamente fragile.

“Non siamo mai stati oggetti” by Federico Landi, 2023

L’archivio è, di per sé, una raccolta di “voci”. Solo quando ci lavori, quando ci sei dentro e lo interroghi scopri quello che ha da dirti. Qual è stato il messaggio che ha voluto trasmetterti?

FL: L’archivio è un elemento cruciale nel processo di musealizzazione occidentale. Richiede un lavoro collettivo costante per mantenerlo interrogabile, aggiornarlo, stabilizzarlo. Proprio per questo la ridondanza è stata la caratteristica che più mi ha colpito lavorando nell’archivio del Museo Medievale di Bologna. Vi sono diverse schede di inventario riferite agli stessi oggetti, redatte in fasi diverse per adeguarsi a standard di accesso sempre nuovi. Gli oggetti si trasformano in carta, in foto, in codici identificativi, in bit di dati, per poter circolare. È interessante per me osservare come il possesso di un manufatto ci porti alla necessità di crearne altri attorno, stratificando e moltiplicando tracce, formattazioni e sistemi di circolazione.

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Untolds