L’arte che documenta, oltre la resistenza

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8 marzo 1979, Teheran. Una giovane fotografa, Hengameh Golestan, realizza un reportage fotografico entrato a far parte della storia e che, a distanza di più di quarant’anni, ci restituisce la forza della protesta di più di cento mila donne scese in piazza per manifestare il loro dissenso contro una legge che imponeva loro il velo fuori di casa.

Witness 1979 by Hengameh Golestan

Golestan fa molto di più che documentare il fervore di quei giorni: con la sua fotografia scrive la storia, cattura immagini - donne senza velo sotto la neve, nelle strade, riunite in gruppo –, affida all’immortalità i loro gesti coraggiosi, salvandoli dall’omissione di una narrativa che, compiendo un falso storico, racconta di un passato sempre uguale a se stesso, di una regola – quella del velo – sempre accettata placidamente e naturalmente dalle donne. Le immagini di Witness 1979, sono la testimonianza di un passato che per intere generazioni non è mai esistito: quello delle loro madri o nonne libere dai costringimenti di un vestiario che limita la loro libertà d’azione e di espressione. 

Witness 1979 by Hengameh Golestan
Witness 1979 by Hengameh Golestan

La fotografia come denuncia sociale e strumento di documentazione è alla base della fotografia di Tina Modotti, per cui il fotografare non coincideva con il fare arte “ma oneste fotografie senza distorsioni o manipolazioni”. Operaia, attrice, fotografa e militante, tra il 1926 e il 1928, Tina realizza una serie fotografica sulle donne della provincia di Tehuantepec e le manifestazioni dei lavoratori, serie che un anno dopo verrà presentata al pubblico diventando la “prima mostra fotografica rivoluzionaria in Messico”. 

Tina Modotti, Marcia di campesinos, Messico, 1928

Con il suo lavoro pionieristico, Tina Modotti dà un volto agli invisibili della storia - indios, donne, contadini, minatori – facendoli diventare simboli di una rivoluzione. Come le fotografia di Golestan, anche quelle di Tina sono vittime di un’operazione di omissione e censura: finite, dopo la sua morte, in molti archivi statunitensi, rimarranno per decadi sconosciute a molti, fino ad essere nuovamente rivalutate e studiate a partire dagli anni ‘70.

La verità del fatto storico è ciò che collega le fotografie di Golestan e Tina Modotti, alla performance dell’artista cubana Tania Bruguera. Intervistata in occasione della mostra “La verità anche a scapito del mondo”, realizzata a Milano presso il PAC, l’artista ha affermato che «la verità storica si costituisce di fatti realmente accaduti e non è da confondere con un’opinione o un’interpretazione personale». La ricerca dell’oggettività, per Bruguera si traduce in una performance che scuote, che provoca emotivamente il pubblico per attivare dei processi di non obsolescenza dei fatti storici. Tra le opere in mostra, l’installazione Sin Título è la rielaborazione di un’opera realizzata per la Biennale de l’Avana e censurata dal governo cubano il giorno dell’inaugurazione. Nello spazio buio, il pubblico è invitato a camminare su un tappeto di canne da zucchero in fermentazione di cui si sente il forte odore. Tre performer cubani nudi elencano a voce alta i nomi degli oltre cinquecento prigionieri politici a Cuba oggi, molti dei quali incarcerati a seguito di manifestazioni represse dalla polizia di Stato con ferimenti e violenze di cui, ancora oggi, non si conosce l’esatta consistenza. 

Tania Bruguera, Sin Título (Habana, 2021), 2021, installazione e performance. Courtesy l’artista. Foto Claudia Capelli

Tra documentazione e denuncia dei sistemi coercitivi utilizzati dal potere, l’arte di Bruguera promuove resistenza e disordine pubblico come forma di azione politica.  


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Untolds