Ugo La Pietra

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L’ARCHITETTURA CHE COMUNICA

La separazione esterno/interno e la sua abolizione è ll filo conduttore che attraversa tutto il percorso artistico e progettuale di Ugo La Pietra: al binomio, non conflittuale ma funzionale, Interno/Esterno è riconducibile tutta una serie di opere e progetti che vanno dagli anni 60 sino ai giorni nostri.

Cultura del fare/artigianato

Architetto di formazione, artista, designer e docente, dal 1960 si definisce ricercatore nel sistema della comunicazione e delle arti visive, muovendosi contemporaneamente nei territori dell’arte e del progetto, a cui La Pietra conferisce un taglio antropologico e sociologico, in linea con un certo modo di fare arte tipico degli anni 60 e 70, orientato al “recupero della manualità” e al riconoscimento delle maestranze artigianali che costituiscono, accanto alla progettualità, l’altro importante perno della ricerca di La Pietra.

Il lavoro manuale, parte fondamentale della sua ricerca, è talmente rilevante nell’opera di La Pietra da prendere la forma della co-autorialità: accanto al nome dell’artista, è indicato quello dell’artigiano che ha realizzato l’opera a partire dal progetto dell’artista. L’atto del nominare conferisce all’opera un valore aggiunto e rappresenta il riconoscimento di quel “genius loci” che è riconoscimento della differenza, di una specificità geografico-culturale tutta italiana che trova il suo comun denominatore in una cultura del fare.
Ugo La Pietra, "Le Case Parlanti", Foto: Igreg Studio

L’interno che va all’esterno: Le Case Parlanti

E dalle mani dell’artigiano Fusella, prima, e di Sandro Da Boit, dopo, sono state plasmate Le Case Parlanti, fino al 19 luglio in mostra presso la MAAB Gallery di Via Nerino 3, a Milano. Le casette di terracotta, realizzate dall’autore nei formati più differenti - dai disegni alle ceramiche - rappresentano un modo allusivo per rompere le barriere tra spazio privato e spazio pubblico, per rendere l’arte comunicabile e comunicativa. Come spiega La Pietra: “La casa comunica ancora!”. Ed ecco che tende, poltrone, abat-jour, le sedie e tavoli occupano le facciate delle case in miniatura, rendendo visibile e tangibile lo sconvolgimento della relazione interno/esterno, la rottura della barriera spazio pubblico/spazio privato, già presente nell’installazione urbana

“Abitare è essere ovunque a casa propria”, realizzata da La Pietra nel 1969
Ugo La Pietra, "La Riappropriazione della Città", Ed. Centre Georges Pompidou, Parigi, 1977
Ugo La Pietra, "Il Commutatore", 1970

Cultura Balneare: Le Case del Poetto

Abitare la città, “usarla”, far diventare la strada il salotto di casa propria e viceversa. In questa direzione si muovono i lavori di La Pietra che osserva ed interpreta l'intervento dell'uomo comune nei processi di modificazione (per un uso più appropriato, aggiunge l’artista) dell'ambiente urbano. Un habitus, quello dell’abitare lo spazio, per certi versi riconducibile alla definizione di “mente locale” con il quale l’antropologo Franco La Cecla, definisce la facoltà di immaginare gli spazi, costruirli, trasformarli e usarli. Abitare, in tal senso, implica la costruzione di mappe mentali che si materializzano in manufatti e costruzioni del quotidiano riconducibili alla “cultura materiale spontanea” al centro degli interessi di La Pietra nelle sue ricerche “fuori” dalle città.

Ugo La Pietra, Le "Ville" del Poetto (Cagliari), 1978
Ugo La Pietra, Le "Ville" del Poetto (Cagliari), 1978
Ugo La Pietra, Le "Ville" del Poetto (Cagliari), 1978
Ugo La Pietra, Le "Ville" del Poetto (Cagliari), 1978

Da queste riflessioni prende slancio la serie Cultura Balneare che riunisce fotografie e bozzetti realizzati da La Pietra nei primi anni 80, quando fondò, a Cattolica, l’Osservatorio di Cultura Balneare, per studiare e approfondire questa particolare cultura marginale e proporre per la prima volta un design territoriale. Durante le sue ricerche, l’attenzione dell’artista si soffermò sulle Case del Poetto della costa di Cagliari, costruzioni vermicolari di “case unifamiliari “al mare, costruite direttamente (o comunque con una grande partecipazione) dalle persone che poi le hanno usate per diversi anni, sino alla loro distruzione avvenuta nei primi anni 80, per volontà delle amministrazioni locali, case il cui unico registro è rappresentato dalle fotografie di La Pietra. Ancora una volta, l’architettura spontanea rileva suggerimenti ed indicazioni importanti per comprendere la partecipazione dell’uomo nella creazione del paesaggio.

Con le loro ante ribaltabili e con tende effimere fissate con lunghi pali nella sabbia, le case del Poetto riaffermano la rottura della barriera interno/esterno e della separazione pubblico/privato sperimentata da La Pietra. Semplici, funzionali e democratiche (in rapporto alla distribuzione degli spazi e alla semplicità di realizzazione), le case del Petto si contraddistinguono per la loro dimensione utile e per l’armonia formale in netto contrasto con l’architettura borghese di quegli anni. Espressione di una “mente locale” ancor più unica perché legata ad uno specifico territoriale, sintetizzano quella facoltà di vivere lo spazio che tutte le culture e gli individui possiedono, quella capacità di creare mappe mentali che ci consentono di abitare i luoghi.

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Untolds