“Tutto cambia intorno a noi, tutto si muove; si muovono perfino le piramidi d’Egitto, le montagne e la terra; perciò l’uomo è anche lui in continuo mutare e non è mai eguale a quello che era appena un attimo prima.
”Se, come sostiene Montaigne, la radice dell’identità è nel continuo fluire delle persone e delle cose, la fotografia ne è il suo testamento, il documento finale che nel tentativo di registrarne il desiderio prorompente, lo congela nel tempo.
Il tema dell’identità trova nella fotografia contemporanea un luogo familiare e, allo stesso tempo, polemico, in cui il corpo esposto, l’intimità narrata, la trasmutazione avvenuta, raccontano la parte estetica delle nostre esistenze. Oppure la ricreano, in un’architettura in cui la distinzione tra realtà e finzione è secondaria. Ne sono testimonianza i quattro lavori che vi presentiamo, selezionati in occasione della Open Call Identità costruita lanciata da Untolds nel mese di aprile.

Ogni dove. Al principio era una isla.
Il progetto di Silvia Renda nasce da un'indagine sul rapporto tra paesaggio, desiderio e appartenenza. Come racconta l’autrice “il progetto è una voce sia personale che plurale sui ‘luoghi dell’affetto’, reali o immaginari, dove il desiderio ci muove, dove troviamo il nostro paesaggio interiore”. Il lavoro inizia nel 2015, quando, durante una residenza artistica a Bruxelles, l’autrice comincia ad indagare l'immaginario della sua terra di origine, la Sicilia, attraverso incontri e interviste a discendenti di emigrati siciliani in Belgio, principalmente figli e nipoti di salariati impiegati nella manodopera estrattiva delle miniere di carbone della Vallonia.



Per mesi, la ricerca la conduce ad intervistare voci e volti che le permettono di cogliere da lontano una visione del suo territorio, una Sicilia “decentralizzata" restituita attraverso una fotografia visiva (i ritratti di spalle delle persone intervistate) e “parlata” (il racconto del paesaggio immaginato e idealizzato degli intervistati).
Therefore you need not pity me too much (Ballads of a ghost).
La routine quotidiana di una donna, di un'immigrata e di una madre. La sua identità, costruita con cura durante i suoi anni di formazione, si trasforma lentamente nell'immagine evanescente di un fantasma consumato da una routine alienante che sospende, su scaffali impolverati, speranze e progetti di una vita passata.

Il lavoro di Bianca Góis allarga il campo della riflessione all’identità decostruita, a cui l’autrice conferisce una struttura narrativa scandita dal tempo (quello del lavoro domestico) e dallo spazio (a identificare le serie di scatti sono gli spazi della casa: bedroom, kitchen, living room).
La dimensione relazionale è con se stessi, con la dimensione dello “straniero”, oltre che con lo “straniamento” di uno spazio che contiene, che definisce e limita.
Waiamu - Jeito do corpo (Way of Body)
Come elaborare altri modi possibili di abitare il mondo ricorrendo alla collaborazione creativa con esseri non umani?



Waiama - Jeito do corpo è una coreografia fotografica realizzata da Lia Cunha e João Meirelles in collaborazione con i waiamu di Itaparica, granchi blu che abitano le mangrovie fangose e gli interstizi tra le foreste tropicali e le terre sabbiose e umide, da dove prendono il nutrimento necessario per la loro sopravvivenza. Il waiamu - che in Tupi significa “granchio blu scuro” - riveste una grande importanza biologica e culturale nelle foreste di mangrovie, sempre più vulnerabili a causa dell’impoverimento nella biodiversità della fauna che vive e svolge compiti essenziali per la sopravvivenza di questi ecosistemi.
Il saggio fotografico, risultato della residenza artistica realizzata dalla coppia di artisti presso l’Istituto Sacatar di Itaparica (Brasile), è un tentativo di abitare lo spazio a partire dalla prospettiva, del “granchio blu”. Il suo avanzare, tra suoli sabbiosi e radici acquatiche, si fa danza, coreografia di altri modi possibili di abitare il mondo. L’esercizio creativo, registrato dalla fotografia, restituisce un'idea di identità costruita, di un corpo multispecie che porta con sé un sapere su altre forme di vita.
Cambiamenti e identità
E’ un corpo solitario, nudo, attraversato da solchi che ne raccontano le geografie vissute quello narrato da Adriano Cascio in Cambiamento e identità. Il corpo trasmutato, al centro del suo lavoro, traccia un diario intimo e delicato di un cambiamento profondo e, per certi versi spietato, di un’identità in cerca di ridefinizioni. L’accettazione dei limiti e il rapporto con il proprio divenire sono il punto di partenza di un percorso al contrario che va dallo svuotamento alla ricerca di una nuova identità/immagine da costruire.


